Caldarroste.

Il biglietto è appoggiato vicino ai fornelli. La pentola forata, già riempita di castagne, è sul fuoco più grande, quello in mezzo.

“Ciao. Te le ho incise come faceva lei. Un taglio nella pancia, quella cosa che ci sembrava truce. Dolorosa. E invece è solo un’altra forma di sorriso”.

 Mia sorella.

Soltanto lei può lasciare un messaggio così, senza una firma, senza un segno. Perché soltanto lei scrive così.

Come se la vita fosse uno dei suoi racconti tristi.

Quel libro che ha in testa e che dovrebbe durare tutti i minuti della sua esistenza, stipati dentro un milione di pagine.

Una raccolta delle gioie e dei dolori che le mormorano dentro, mentre guarda quello che le accade, o non le accade, intorno.

Una volta all’anno, quando eravamo bambine, toccavamo la felicità. Lo facevamo con le manine coraggiose, senza guanti. Rovistando tra le foglie del sottobosco.

Era la nonna a guidarci, solida e perenne, una quercia.

Nel palmo chiuso custodiva quel bastone che sapeva aprire un varco, allontanare aghi, funghi, vermicelli umidi. Ricci. Un tappeto di ricci assiepati e gelosi.

Aveva fiuto, la nonna, per i castagneti più preziosi. Il tesoro lo trovava sempre. E ce lo regalava.

Le nostre dita, incuranti delle spine, afferravano quei frutti novembrini, roba semplice, ma così versatile, così buona, da conquistare chiunque.

Poi erano secchielli pieni, canti ad alta voce, passi scivolosi. Storie di boschi, di folletti.

Si tornava in quella casa dai muri spessi, con il freddo che accoglieva i fiati densi, mai cattivo. Un freddo sano, diceva la nonna.

“Il caldo fa più male, il caldo viene dal Demonio”.

Il camino si accendeva in fretta, tutte e tre insieme, con i fogli di giornale e i legnetti più croccanti. Odore di pino. Poi la nonna incideva le castagne.

Il sorriso sulle sue labbra aveva la stessa forma del taglio che faceva sulla buccia morbida. Una virgola precisa, un unico movimento del polso.

Non ho mai mangiato caldarroste migliori.

Mia sorella lo sa. E anche se ha una lista infinita di cose da fare, di amici da vedere, di amori da inseguire, non si dimentica di me.

Che dopo il lavoro sto in cucina, da sola. Leggo, bevo una camomilla. Penso.

Penso a come siamo diverse. Lei così solare. Io così ombrosa. Lei traboccante di parole. Io blocco di pietra muta.

Una cosa, abbiamo uguale. Quel taglio lì, nella pancia delle caldarroste.

Quello che le fa aprire, quando la temperatura si alza e vivere diventa difficoltoso, più che morire.

È una bella cosa, la nonna lo sapeva, quando camminava nel bosco e quando stava ferma davanti al camino.

Quel taglio è un’altra forma di sorriso.