Ombrello rosso.

Alla maggior parte delle persone non piace la pioggia.

Quando la sentono scrosciare e sono ancora sotto le coperte, alle sei del mattino, questi individui sole-dipendenti si fanno prendere dalla tristezza. E dalla previsione negativa della rabbia che erompe, dentro il traffico.

Io no.

Io, se percepisco il cielo venir giù a secchi abbondanti, penso subito “quam iuvat”: uno, perché al liceo ho fatto latino, e due, perché a me la pioggia giova davvero.

Per una come me, che è nata brutta e morirà anche peggio, un bell’ombrello rosso che copra la faccia agli occhi del mondo toglie una gran quantità di problemi. 

Così esco volentieri, nelle mattine di acquazzoni estivi.

Cammino con le galosce ai piedi e un impermeabile grigio scuro. Mi calo l’ombrello davanti agli occhi, mi guardo i piedi mentre avanzano su tre centimetri di acqua corrente.

Cerco le pozzanghere.

Il mio ombrello rosso mi protegge, come una maschera neutra.

Non fa vedere la mia faccia brutta. Allora posso parlare con le poche persone che incontro, temerarie come me sotto il diluvio.

Non devo spiegare che nella cascina dove abitavo e che neanche mi ricordo, una notte nera qualcuno ha appiccato un fuoco. E io mi sono quasi bruciata viva.

Non devo spiegare che quel qualcuno era mio padre, che ha gettato la bottiglia del Jack nella legnaia. E poi un accendino acceso. E tutto ha fatto bum.

Non devo spiegare che adesso ho preso un cane. Un bel cucciolone di Rottweiler, nero nero. Con gli occhi buoni come cioccolato puro.

Non devo spiegare che a lui non mi voglio legare, non mi posso affezionare. Perché ho già pensato a tutto. Da tre giorni non gli sto dando da mangiare, come abbaia, poverino. Come ringhia. E quando la fame lo avrà reso pazzo e cattivo, lo farò: metterò una bistecca sopra la mia faccia e scioglierò la sua catena.

E allora sentirò un po’ male e mi mancherà il mio ombrello rosso.

Insomma morirò così: con il volto esploso in una miriade di piccoli morsi. Che poi sono quelli che mi ha dato la vita.  E pensare che non servirebbe tanto: solo un buon chirurgo.Un professionista che sappia fare ottime suture.

Adesso stai tranquillo, lettore. Non ti devi preoccupare: il mio cagnone non mi mangerebbe mai. Verrebbe lì scodinzolante e salterino, col pelo duro e odoroso di pioggia, a leccarmi il volto che gli piace tanto. Sono bella, io, per lui. Me lo dice sempre. E allora noi staremo lì, sotto l’ombrello, abbaieremo alle gocce come cuccioli che incrociano le code.

Lo sai anche tu: non anneghi in un mondo allagato, se ti aggrappi a una pelliccia buona, come la sua.

Come la mia.