Chi mi vede sulla spiaggia.

È lui che porta in giro me. Thor, dico.

Un bel mastino con le rughe, che puzza di frittata perché Rosy lo vizia così, con vagonate di uova e di prosciutto crudo.

Poveretta anche lei, con quel grembiule a righe rosa, sulle gambe grosse. Ci vede passare, ci guarda in fondo, sulla spiaggia, con Thor che sgranocchia i rami marci della riva.

E io che mi faccio trascinare.

La prima chemio non mi ha fatto niente. Sono andato in ospedale da solo, perché mio figlio ha paura di vedermi morire. Ho detto: vado io, e poi no, non sono solo. C’è Thor, c’è sempre. Vecchio puzzone rugoso. E infatti non ho vomitato, non sono svenuto, sono stato lì a subire quel liquido che mi cambiava il corpo.

Adesso forse Thor ha capito.

E mi riporta il guinzaglio, vuole trascinarmi via con sé. Vuole fare il bagno, ma è marzo e “Thor non ti ammalare, ci sono già io che sono malato”.

Thor vuole portarmi dentro l’acqua.

Mi sovrasta la sua forza, perché adesso che sono giallo e dimagrito lui pesa forse più di me. Guaisce un po’. Si ferma appena: la sua zampa destra è lambita dall’onda delicata e curiosa.

“Ma sì, Thor. Buttami nell’acqua. Ché nell’acqua ci laviamo”.

E questa è un’acqua salata più dell’acqua della pasta. Del resto questa vita, io e te, la condiamo così, come la condiva lei: con i broccoli e le acciughe.