I panni stesi.

“Tutto bene, sì. E lei, e lei? E la figlia, come va?” rimbalza tra i muri spessi e battuti dal sole, la voce delle comari che stendono i panni. Una di loro sono io. Finisco di lavare e appendo le lenzuola ai fili fuori. Ho le mollette rosse e blu, me le ha date la Nunzia, che stende sempre come me, anche se lei parla una lingua del Sud che non conosco. Tante volte accade che ridiamo perché con le parole non ci capiamo. Alla fine, però, ognuna con il suo dialetto, ognuna con il suo sorriso, ci intendiamo sempre bene.

La Nunzia non sa che io so. Nessuno lo sa.

Io so una cosa che riguarda mio figlio. E tutto questo paesino inerpicato sui monti. Da due settimane in subbuglio, perché è arrivata la scientifica, è arrivata la televisione. Dicono che il killer è spietato. Dicono che non ti accorgi quando ti taglia la gola. Dicono che è questione di un attimo e la polizia lo scoverà, lo darà in pasto ai galeotti, che non lo faranno uscire vivo, nemmeno dalle docce, dicono. Io invece dico che ci devono solo provare.

Intanto ho lavato tutto. Lavo sempre tutto.

Mi sono accorta dalla faccia. Dalla barba incattivita. Cosa credeva, mio figlio? Che poteva uccidere così, senza contare sull’aiuto di sua madre? Sua madre che lava tutto.

La prima volta è stato un raptus, come quando da bambino uccise quel topo grigio in cantina. Lo fece a pezzi con un sasso grosso, appuntito. Non ebbe paura del sangue, dei brandelli di pelo e carne.

E adesso sta diventando metodico. Rigoroso. È bravo. Non ammazza qualcuno in particolare. Ammazza chi gli capita a tiro quando ha fame.

Quando il buio lo aiuta a mantenere il suo segreto.

Usa metri di lenzuola. Avvolge i frammenti dei corpi. Perché dopo averli bruciati dove nemmeno io posso immaginare, tiene quel sangue nero con sé. Torna a casa come un burattino, ha una voce che taglia, che incide l’aria che respiro. Io lo afferro, grande e grosso, così com’è; lo butto nella vasca da bagno, lo pulisco bene, a fondo. Lo faccio tornare il mio bambino che mette la testa sott’acqua. E ride forte. Poi prendo vestiti, stracci, lenzuola: li consumo con la candeggina fino a erodermi le mani.

Va via, il sangue. Basta saperlo strofinare.

Non è tuo, il peccato, figlio. Il peccato è nostro. 

I panni sono asciutti, adesso. Li vado a ritirare.