Il tempo di una sigaretta.

Un attimo e salgo. Il tempo di una sigaretta.

E poi elimino il problema. Il mio problema adesso sei tu, gamberetto che mi sei entrato dentro dopo un amplesso veloce sulla scrivania. E lo sapeva, lui, che da due mesi la pillola non la potevo prendere. “Stai tranquilla, lascia fare a me”. Facciamolo qui. Facciamolo adesso, chè non passa nessuno. Chè c’è la pausa pranzo.

Così adesso ci sei tu.

Un gamberetto galleggiante nel mio utero di quasi quarantenne sola. La prima volta che ho abortito avevo sedici anni. Mi ha portato mia madre. Ricordo una parete scrostata, lenzuola macchiate di giallo. E una donna che piangeva nel letto accanto al mio. “Sgualdrina” mi ha detto. “Tu un figlio non lo devi avere mai. Mai!”. Ho saputo poco dopo che quella donna era al terzo aborto spontaneo. E avrebbe ammazzato volentieri chi percorreva la sua stessa strada, ma per scelta. Ho sentito male. Mi è venuto da vomitare. Mia mamma aveva le mani giunte e non guardava. Vuoi sapere cosa mi ha colpito di più?

L’odore del sangue. Forte. Animale.

E mentre mi strappavano il bambino, ho pensato che fosse davvero labile il confine: che là dove qualcuno mi aveva messo la vita, adesso io avevo deciso di portare la morte. Nel sangue.

Sempre nel sangue. Che poi è l’inizio e la fine di tutto.

Ma guarda cosa mi sovviene. Aspetta, fammi mettere un velo di rossetto. Ne ho preso uno color camelia. Chissà mai che il dottore è uno in grana. E si innamora. Se dovesse accadere, tanto, sarà l’ennesima illusione sovraccarica di guasti e di tensioni: padri, mogli, figli, impegni di lavoro. Ogni volta ho lottato contro questi fantasmi.

Sono i fantasmi dei maschi.

Le loro scuse. I loro “devo andare”.

E ormai lo so. Lo so serenamente come so che dopo la notte c’è sempre un’alba. E non è detto che rischiari. Il mio ruolo è camminare in solitaria. Far pezzi di strada con gente sempre diversa. E trovarmi a un bivio, prima o poi.

Ora, però. C’è un però. Il gamberetto. Il gamberetto è qui. E magari sarà l’unico uomo che non mi abbandonerà. No?

Comunque il padre non lo vorrà mai. È un getto di sperma che mi licenzierà con un’uscita a molti zeri, per comprare il mio silenzio. E un figlio da tirare su da sola. E i soldi. E mia mamma che ci muore. E gli addii alle certezze, ai percorsi già tracciati. E un letto mai più soltanto mio. 

Salgo, dai. Il dottore mi aspetta. Elimino il problema.

Un attimo ancora. Il tempo di un’altra sigaretta.

Ma no, dai. Non fumo più. Non mi va più.

Andiamo a casa, gamberetto. Ti porto io.