La fame.

Ancora un pezzo piccolissimo di questa torta, un frammento di quelli che si fermano in gola, quasi non sporcano l’esofago. Dopo vado a correre, promesso. Fammi assaggiare una fragola o una briciola di frolla. Solo questo.

Ho iniziato la dieta l’altro ieri, ma ho sempre fame.

Cos’è, la fame? Un bisogno. Ho bisogno di mettermi qualcosa dentro. Nello stomaco, sì. Ma nella testa, anche: perché io comincio a mangiare con gli occhi, quando vedo un dolce come questo.

Adesso vado a pesarmi: trecento grammi in più. No, la torta non la mangio. Bevo un sorso d’acqua, ci metto dentro una fetta di limone. Però. Però ho fame. E come faccio, io, a non impazzire? Posso morire, di questa follia.

Posso morire di fame.

Oppure posso esplodere, perché un giorno metterò nella mia bocca tutto quello che ci sta. Fino a scoppiare.

È colpa tua, mamma.

Da quando ho visto la tua foto in cui stavi sulla spiaggia magra magra. Il tuo vestito sottile, sulle gambe come giunchi tra le rive di uno stagno. I capelli lunghi sulle spalle ossute. Il naso aguzzo. Le guance scarne. Uno scheletrino che sorrideva sempre, ne sono certa. Chissà com’erano, i tuoi abbracci. Duri, credo. Spigolosi.

Invece Marco, tuo nipote, mi dice che sono la sua “mamma morbidosa” e mi cerca e mi vuole, mi chiama a sé come un cuscino soffice.

Poi dorme.

Sono i momenti in cui non sento la fame, in cui la dieta funziona davvero. Non lo voglio spostare dalle mie cosce, lo lascio lì, immobile e addormentato, con la testa abbandonata.

Non provo nulla, in quei momenti. Ah, se lo avessi conosciuto, mamma. Se avessi conosciuto anche me. Come sarebbe stato bello. Ti avrei offerto un po’ di questa torta.

Un bacio, un boccone. Un boccone, un bacio.