I fiori recisi.

Da sola, me li prendo. Da quando ho rinnovato casa, non mancano mai i fiori. Li prendo recisi, li metto dentro il vaso, tanta acqua fresca con un pizzico di zucchero come concime. E allora li vedi che si tirano un po’ su, con il gambo irrobustito che sostiene la corolla con vigore. Mi sdraio sul letto e li ammiro.

Faccio finta che me li regali un uomo.

Mi è successo solo una volta, in prima media. Ho ricevuto un mazzo di gerbere quando mi sono rotta l’alluce nell’ora di ginnastica, col salto in alto. Poi non mi sono rotta più niente, non sono mai stata in ospedale.

Sto bene sempre. E così nessuno mi regala i fiori.

A me piacciono gli iris, le rose, i ranuncoli. Adoro i girasoli. I fiordalisi. A seconda della stagione, giro nei vivai. Tra i fioristi. Non ho il giardino, non ho un terrazzo. Però ho una cucina, un divano, un bagno e una camera da letto. E tanti vasi di fiori recisi.

Anche io certe volte mi sento un fiore reciso. Se mi togli l’acqua mi secco.

Sto prolungando qualcosa che è destinato a finire. Come un fiore, che nell’acqua di un vaso si illude di durare. Di non morire. Non ho mai avuto nulla, ma tra poco finirò tutto d’un colpo, tutto in una volta sola. Quel dolore che mi arriva non perdona, anche perché io non mi curo. Non sono mai stata malata, io. E non vado mai in ospedale. Tra poco mia sorella mi verrà a gettare negli sfalci verdi, in discarica. Un sabato mattina di grandi pulizie.

L’altra sera ho riempito la vasca da bagno. Mi sono messa dentro, tutta nuda. E mi sono buttata addosso i miei fiori recisi. Ho fatto l’amore con loro. E con me stessa. Cosa me ne faccio degli altri. Di un uomo. Al quale magari devo fare da madre. Si arrangino, gli uomini. Io ho i miei fiori. E se annego, annego in mezzo a loro, nei loro gambi duri.

Corpi forti e dolci, corpi nudi senza le radici.