La donna del lago.

Il motoscafo l’ha portata qui, come una foglia battuta dal vento. L’ha portata con il suo cappello che rischiava di cadere e di volare via, a ogni alito di brezza leggera. Si è seduta, sperando di non essere vista. Ma come possiamo non vederti, con quella camicetta verde acceso?

Un verde che chiama le pupille, che urla “sono qui, non fatemi andare”.

Si è portata qualcosa da mangiare, due biscotti secchi, quelli del tè con le amiche di sempre. Poi ha lanciato qualche briciola a una famigliola di folaghe. Le ha viste vicine, mamma, papà e tre folaghine sparute, con la faccia rossa e le piume soffici. Tutte vicine nel freddo crudele del lago, a raccogliere legnetti e bastoncini per costruire un nido sotto gli archi della darsena, tra le paratie madide e fitte. Osserva questi animaletti indaffarati. Sorride.

Nelle mani ha un pacchetto accartocciato, un segreto avvolto dalla carta di giornale.

Lo culla, lo accarezza. Le mani curate, solo un po’ avvizzite, lo tengono salde e delicate, come si tiene una colomba impaurita, da custodire con dolcezza ferma. Al collo un foulard rosso. Sbatte con un pizzico di forza, stoffa pregiata: una bandiera fiera in una cornice flebile, solo leggermente sferzata dall’aria curiosa. Se le osservi le labbra, puoi notare che non sono ferme. Tremano. E sussurrano parole di preghiera. I piedi non trovano pace.

L’uomo arriva con passo pesante, veloce.

È un mastino scuro, massiccio ma buono. I muscoli tengono in piedi la sua vita. Il suo corpo come una quercia dalle radici invadenti. La vede, adagiata su quella panchina, e le tocca la spalla sinistra. Così piano che lei, assorta nel punto ultimo dell’orizzonte, quasi non lo vede. È una fatica, distoglierla dal lago. È arrivato per prenderla, per portarla via. Senza parlare. La donna non si oppone. Si lascia trasportare. Guarda la superficie dell’acqua scura, un attimo ancora. Lui le cinge il fianco, così delicatamente che sembra non voglia spezzarla, sgualcirla.

“Aspetta” dice lei. La voce viene dal fondale scuro del lago.

Si affaccia alla ringhiera asciutta, si appoggia con i gomiti. Guarda in basso. Tra le mani ha ancora il pacchetto che stringeva, con la carta di giornale raggrinzita. È un istante lungo, cristallizzato nel vento del tempo: poi è un lancio stanco, rassegnato. Un lancio che butta fuori il cuore, dagli occhi e dalle mani.

Adesso va. E i passi sono meno incerti.

Lui continua a custodirla, a mantenerla in piedi. Si allontanano vicini, passi dentro i passi. Io mi sporgo dalla balaustra e vedo il foglio di giornale, sfatto. Poco lontano, ondeggia la fotografia di un uomo elegante, forse in abito da sposo. E una collana leggera di perle, piccolissime, che riesce a stare a galla tra gli aghi di pino. Una folaghina la afferra con il becco, dopo qualche tentativo.

Che bello sarà, il suo nido.