La mia notte.

Buonanotte alla mia notte che si scioglie, in un soffitto basso. A una notte senza l’alba, di occhi grandi e mani strette.

Notte liquida, notte zitta.

Così mi sono alzata, a piedi nudi sul parquet gelato. Ho aperto il frigorifero e ho trovato la bresaola di ieri a mezzogiorno, è scura ma ancora buona. Poi ho preso un po’ di pane, sono stata attenta a non far cadere nemmeno una briciola.

Di là mia mamma dorme con i suoi sospiri rauchi, non sa niente.

Perché con lei sto sempre bene, con lei rido, faccio le ricette e le fotografie, i video con le facce sceme. Mia mamma è bella, soda e sana e mio padre l’ha archiviato nella spazzatura, ci è riuscita in fretta, perché il mascara che aveva al funerale era di quelli indelebili, apposta per non sembrare un pugile picchiato e triste. Si è rifatta una vita, è venuto tutto naturale in questi sette mesi, tre settimane e quattro giorni. Si è rifatta le labbra, gli zigomi, adesso che compie cinquantun anni si rifà anche il seno.

Io no.

Io mi tengo questa faccia, questa frangia, questo pizzico di orrore che mi esce da ogni dove. Il suo uomo, quello nuovo, dice che io sono più bella di lei, certo sono giovane, molto giovane, me lo dice in un modo così invadente, così disgustoso. Si avvicina con l’alito di vino e sigaretta, mi parla in bocca. Per questo con lui non voglio stare, neanche la domenica a pranzo, quando mia mamma cinguetta sui fornelli e cuoce le lasagne pregustando il pomeriggio d’amore. Non voglio incontrare quelle sopracciglia folte e false, la camicia fuori dai pantaloni, la smorfia che gli viene quando mi rovina.

“Ciao, bambina”. Ciao.

E’ andata via davvero, quella bambina che ero io.

Non voglio le dita, le pupille, i peli duri della barba, i piedi piatti, l’Audi nuova, il tocco gelato e unto, le parole di miele, la rabbia sommessa. Morire. Nella notte. Soffocata da un panino colmo di bresaola stantia.

Passo strisciante. Polpastrello rosa.

Vieni qui, Nocciola. Gattone buono. Mi hai seguito anche stavolta: sei bravo, pallotta di pelo. Vieni, vieni qui. Fai il tuo bron bron contro il mio stomaco che preme, piange, grida, esplode.

Lo sai, vero, mio gattone?

Non si muore mai davvero, se si muore in un abbraccio.