Non sono più arrabbiata.

Finisce che cammino a testa all’aria, quando mettono le luminarie di Natale.

La voce di mia mamma nelle orecchie, che mi dice di guardare avanti e di mettere i guanti. I guanti li ho persi ancora, devono essermi caduti nel parcheggio del supermercato. Sono rimasta ferma al meno uno, a guardare la gente con i carrelli pieni. Un andirivieni di balocchi: panettone, spumantini, piatti pronti. Mi è venuta fame, ma non di roba da mangiare.

Mi è tornata la fame delle persone.

Da quando sono malata, nessuno lo sa. Da quando sono malata, sto soltanto con me. È che io voglio che tutto vada bene, sempre. Voglio che niente si trovi fuori posto. Voglio gli shanghai ordinati sul tavolo, uno vicino all’altro, alla stessa distanza, precisa. Anche se ormai, alla mia, età, dovrei capire che non c’è mai niente che stia al suo posto e basta. Che nella vita le zone d’ombra ci sono e forse è anche giusto così.

Però mi arrabbio. Grido, dentro di me. Divento cattiva.

Mi viene un’onda d’odio che mi cambia i lineamenti: tante righe ai lati della bocca. Smetto di salutare.

Dopo il supermercato, sono venuta in piazza della chiesa, per vedere se hanno già messo la stella cometa, per provare a capire dove mi porta, magari. Ho visto la solita banda di ragazzini con i cellulari in mano: cinque dodicenni che stanno vicini senza guardarsi, mentre fanno i video con le facce sceme sullo schermo e mettono i piedi sulla panchina. Uno, il più grasso, si è alzato e ha bofonchiato “ci schiodiamo?”. Bravi, sì. Schiodatevi.

Che freddo, intanto. Freddo che taglia la base delle dita, freddo della nuvola di fiato.

Sono ancora arrabbiata. Pendo che questa rabbia non mi passerà mai. Invece mi passa. Perché arriva un vecchio con gli occhiali spessi, un omino curvo che non so nemmeno come faccia a stare in piedi. Arriva carico di scatoloni, claudicante nelle suole consumate. Sta per salire sui gradini, si dirige alla porta della chiesa. Mi vede con la coda dell’occhio.

Ride, di una risata che sa tante cose.

“Signorina, cosa fa lì, a prendere freddo? Venga, chè mi dà una mano, almeno!”. Lo aiuto per un’ora. Smistiamo vestiti e roba da mangiare, cose per i poveri, mi confida lui. Altro non spiega. In chiesa fa più freddo che fuori, ma il vecchio dice che si sta bene. Il vecchio, forse, è il parroco di qui. Io non lo so.

Comunque adesso non sono più arrabbiata. Ho qualche taglio sulle mani, maledetto cartone. Però non sono più arrabbiata.