Liscio come l’alabastro.

A bottega con mio padre. Sono cresciuto così. Ho le mani grosse, da tagliatore di pietre.

L’alabastro lo conosco bene: è quel blocco bianco che fa la polvere insistente, quella che ormai è sempre sotto le mie unghie, dentro, in fondo, nelle mie narici.

Colpi di scalpello. E rumore. E tagli. E sangue.

Non tutti, qui a Volterra, sanno tirar fuori dalla pietra una forma che è la vita.

Lei non ha capito. Che volevo solo replicarla. Doveva stare lì, ferma. A guardarmi mentre le rubavo l’anima e la mettevo nella roccia fredda. La linea del suo ventre, come mi piaceva. Perché aveva paura? Perché.

Ho fatto un lavoro pulito, che poi sul tavolaccio arrugginito ci potevi mangiare l’arrostino della domenica a mezzogiorno.

Ho lavato sega e sesta e taglierino, la carne non voleva venirsene via.

Comunque torno a lavorare la mia pietra, bella dura, che fa sempre quello che le dico io.