Lo smalto.

Il top coat ha fatto i grumi. Eppure l’ho comprato nello store del centro, ho fatto un pezzo a piedi lunghissimo, ché il metrò non arrivava più.

Io non aspetto.

Neanche dal dottore, figuriamoci una carrozza zozza di gente malsana e accartocciata.
Io non mi ammalo mai, neanche un raffreddore. Ho da fare solo le ricette degli integratori. Il dottore esce dallo studio e prima che dica “prego, avanti il prossimo”, io mi alzo sul mio spillo dodici. Così sono sguardi e labbra e guance che avvampano. Gli sbatto in faccia la mia quinta ed entro.

Oggi invece sono dallo specialista. Il mio burattinaio, il mio stregone.

Il filler è quello sottopelle. Sul volantino della sala d’attesa c’è scritto che non lo senti, è un ago sottile.
A me fa male, ma è quel genere di male che alla fine mi piace.
Poi mi sento bruciacchiata. Aloe, aloe. Il succo puro, puzzolente, mi cospargo viso e collo. Sto al buio, chiusa in casa per tre giorni. Non rispondo più a nessuno: su Facebook e Whatsapp scrivo che sono all’estero per uno shooting.

Io sono bella.
E non amo le persone brutte.

Amo solo te, mamma, te che fai paura. Quelle orecchie impertinenti e il naso enorme. I denti, poi, non li hai mai curati, così gialli per il fumo. Ma la voce che mi leggeva quelle fiabe, mentre stavo sotto le coperte…com’è bella, mamma, la tua voce, ancora adesso. Un usignolo nel corpo di una cornacchia, torva e infelice.

Buon compleanno, mamma.

Sono arrivata presto, questo pomeriggio.
No, non ce l’ho fatta a prenderti dei fiori. Sabato vado. Ti prendo quelli finti, ti regalo le orchidee viola, e giuro che ti sembreranno vere.
Adesso me ne vado, dai.
Lo smalto si è sbeccato ancora e il custode mi segue con gli occhi affamati.

E poi adesso il cimitero chiude.