Sale e pepe.

Il cielo è coperto, l’aria rimane bagnata, con le goccioline sospese che inzuppano l’asfalto e la terra.

È sabato mattina, l’inizio di dicembre.

La fretta è padrona, si insinua tra le gambe nervose, negli occhi che saltano da un lato all’altro della casa, cosa cercavo, dove l’ho messo? Va bene, lasciamo stare, poi mi verrà in mente, quanto da fare, è un mese così e non ci possiamo fermare.

Mio figlio vuole giocare, disegnare, fare finta di. Vuole fare qualunque cosa che preveda il mio stargli addosso. Ha ragione, lo so.

Il suo senso del tempo non è il mio. Il suo senso del tempo è fatto di sguardi, sorrisi, carezze, coccole sotto il piumone. Salti, balli, lotte. Il suo senso del tempo è buttare via il tempo, fare finta che non esista.

Far esistere soltanto noi, completi, perfetti, nell’attimo di un abbraccio.

Mi prende per la manica, mi chiede di andare in camera sua. “Mamma, vieni”.

Gli manca qualcosa per finire la sua ricetta speciale. Ha aperto il cassetto e ha tirato fuori le verdurine di plastica e stoffa, tre pentole e un padellino, la schiumarola e il cucchiaio di legno, poi ha apparecchiato per due. Non trova, però, i barattolini di sale e pepe, due piccoli contenitori di plastica trasparente, con il coperchio grigio provvisto di buchi.

Li ha cercati dappertutto. Adesso tocca a me.

Devo aiutarlo, non posso deluderlo. Per prima cosa mi tocca fermarmi, allontanarmi dalle mie faccende. Eppure la mia ricerca è tesa, irrequieta. Per questo si rivela inutile, infruttuosa.

“Non ci sono più, li abbiamo persi”. E mi dispiace. Questa frase, che mi esce dalla bocca quasi senza controllo, mi fa stare così male: se potessi uscirei al volo, tra le mille altre cose che devo concludere oggi, sarei pronta ad andare in un qualunque negozio di giocattoli, un centro commerciale, un supermercato, dove comprare di nuovo questi due oggettini all’improvviso così importanti.

Mio figlio vede la mia espressione preoccupata, comprende la mia difficoltà. Mi fa sedere sul letto. “Facciamo che me li disegni tu, io li coloro, poi li ritagliamo, se vuoi. Così ce li abbiamo e possiamo giocare, ok?!”.

Ha ragione! Ha ragione! Ha quattro anni e del tutto ragione.

Come ho fatto a non pensarci prima? Ecco cosa mi ha insegnato mio figlio: che nella fretta del tutto da fare, perdiamo di vista la soluzione più semplice. Che un oggetto non ha alcun valore, se non per il tempo che comporta, per crearlo, per utilizzarlo, per donarlo. Che vale sempre la pena di ascoltare le parole e i gesti di un bambino.

La prossima volta in cui mi sentirò persa, trascinata dalle corse e dalle incombenze di ogni giorno, mi fermerò a osservare il problema. Spalancherò i miei occhi e lo guarderò da un’altra angolazione.

Solo così sarò capace di disegnare una buona soluzione.