I palazzi di Milano.

Al primo piano c’è un dentista: ha ricavato lo studio da un secondo appartamento, tutto bianco, con una poltroncina di Emilio Pucci nel soggiorno, trasformato in sala d’attesa. Al terzo piano, invece, c’è una coppia che fa l’amore: si sono conosciuti all’università, lei fa architettura, lui fa ingegneria. Si parlano poco, però le loro mani stanno bene insieme e la loro pelle combacia alla perfezione. Escono una volta al giorno, fanno la spesa e mangiano nel letto o nel divano.

Cercano di non farsi sentire, ma l’amore quando è giovane molte volte fa rumore.

Nell’appartamento vicino c’è una signora sorda con un gatto: è vedova da qualche anno, ma non è arrabbiata. La vita la guarda passare dalla finestra, tranquilla, vede i tram giù nella via. La macchina che pulisce le strade. Al gatto compra solo croccantini perché l’odore delle scatolette non lo sopporta più. Adesso sta prendendo il caffè con il postino, un uomo buono.

Al piano rialzato c’è il portinaio, uno che ascolta ancora le partite alla radio. Sua figlia esce con un ragazzo di colore: lui spera che capisca che no, così non va. Che moglie e buoi devono essere dei paesi tuoi. E in casa lui non vuole stramberie. Si mettano con le figlie degli altri, quelli lì. La moglie fuma un’altra sigaretta, con la porta chiusa, e fa la pasta senza glutine, perché da qualche giorno si sente la pancia scoppiare. La ragazzina esce sbattendo la porta e fissa il telefono mentre scende le scale: nel cellulare caccia animali strani, virtuali.

Il loft dell’ultimo piano è di una modella ricca, che beve Martini a colazione e balla fino a tarda notte. 

Da domani comincia il filler, perché star male va bene, ma invecchiare no.

Che compagnia mi fanno, tutte queste vite. Quando vengo qui alle sette di mattina, a passare l’aspirapolvere nei pianerottoli e nelle scale. Spolvero, spazzo, faccio ogni cosa linda e pulita. Intanto conosco tutta questa gente, che non sempre mi saluta, non sempre mi vede. Sarà colpa della mia gamba inerte, della mia faccia madida e speziata. Sarà colpa che non c’è mai tempo. E tutti bisogna sempre andare: in ufficio, in chiesa, in metropolitana. Io comunque sono qui, mi basta poco. Tengo pulito dove i miei amici poggiano i piedi: un giorno, lo so, sentiranno che manco.

Che forse non dovevo buttarmi. Non dovevo andare.

Ma siamo tutti così divisi. E a me fa tanto male, questo vivere vicino ad altri, che però vuol dire stare sempre soli. Ci vediamo, magari. Ciao.

 

Rosa, 44 anni, di origine algerina.

Probabilmente morta sul colpo.

A Milano da qualche mese. Ex-disoccupata, oggi impiegata di un’impresa di pulizie.