Spazzatura. Anche io.

Prima andavo il sabato pomeriggio e soltanto quando non pioveva. Adesso vado tutti i giorni. Con la pioggia, con il vento e con il sole. Mi piace la discarica. Mi metto davanti ai cumuli di roba degli altri, vite gettate nella spazzatura. Per far posto ad altre vite.

Guardo. Ammassi di rifiuti.

E penso che adesso dovrebbe arrivare qualcuno coraggioso. E buttarmi lì, tra un cassetto rotto e una porta.

Starei bene, in mezzo alle cose da buttare. Io, uomo da buttare.

Io non ce l’ho fatta mai a buttarmi.

Loro, però sì, ce l’hanno fatta. Prima mia moglie, che mi è morta sotto un camion una volta che è andata a prendere il pane in bicicletta. E poi con il tempo mi ha buttato anche mio figlio, adesso è uno importante, uno ricco, mi pare. Però vive in un paese al di là dell’oceano, non mi ricordo se in Canada o dove. Non lo sento più. Lo vedo solo nelle fotografie di quando ha perso il primo dentino. E di quando ha fatto la laurea a Milano.

Un mese fa è morta anche mia sorella, poverina. Le davo i pomodori, qualche melanzana che portavo via dall’orto comunale.

Adesso non ho proprio più nessuno.

La gente mi saluta. Ma non credo mi veda. Mi fa un sorriso educato, perché sono diventato l’uomo della discarica.

Sono lì come una scatola in cantina, che non ti ricordi di avere.

E allora vuol dire che quella roba non ti serve. Che in fondo vivi bene senza.